Napoli, ragazzi cacciati di casa perché gay: “Dormiamo sulle panchine e in spiaggia, ma ci amiamo”

26 Ago 2017 Fabiano Minacci • Tempo di lettura: 3 minuti

gay napoli Francesco e Giuseppe, 18 e 22 anni, sono due ragazzi innamorati che da qualche settimana sono costretti a sopravvivere per strada dormendo su panchine e lavandosi negli stabilimenti balneari perché le loro famiglie li hanno cacciati di casa. Francesco ha raccontato la sua tragica storia a La Stampa. "Allora tocca fare un passo indietro, andare a due anni fa, quando i miei genitori decidono di separarsi e lo fanno nel peggiore dei modi: se ne vanno di casa, entrambi. Io allora avevo sedici anni. Nessuno ci ha aiutato. I parenti mi hanno sempre emarginato perché omosessuale, erano loro ad aizzare mia madre contro di me, pensi che certi miei zii mi hanno persino denunciato dopo una lite. Il Comune (si tratta di quello di Casoria, paese confinante con Napoli, ndr) non ha fatto niente, ancora oggi. Ho dovuto lasciare la scuola per andare a cercare un lavoro, ho fatto un po’ di tutto, cameriere, animatore turistico. E così mia sorella Clelia. Per sopravvivere, per badare alla piccola, tra immense difficoltà. Finché le cose sono precipitate. Alla fine dello scorso febbraio siamo stati svegliati dall’ufficiale giudiziario e i carabinieri. Ci hanno detto: dovete andar via subito. Ancora oggi non ho capito bene quello che è successo, di certo mia madre ha chiesto la liberazione della casa, anche se l’unico documento che ci hanno mostrato faceva riferimento a mio padre, che risultava residente lì. A dir poco brusco, ci hanno fatto mettere i vestiti dell’armadio nelle buste dell’immondizia, tutto in fretta e furia. E quando ho chiesto dove avremmo dormito, mi hanno risposto che a Napoli c’erano i ricoveri notturni per i senzatetto. Una cosa allucinante. E la beffa è che quella casa oggi è vuota, perché mia madre vive da un’altra parte. Sono rimasto solo con il mio ragazzo. Giuseppe ha condiviso lo stesso destino: lo hanno cacciato. Hanno detto “O lui o noi”. La sua famiglia è, diciamo così, all’antica. E così ha perso anche il lavoro, faceva l’aiuto-pasticciere. Abbiamo passato il tempo in giro con le buste piene delle nostre cose, dormendo sulle panchine, anzi, per la verità all’inizio cercavamo di non dormire la notte. Poi quando il tempo l’ha permesso siamo andati sulle spiagge, a Mondragone, a Torre Annunziata, sfruttando le docce degli stabilimenti balneari per lavarci. Da qualche giorno le cose vanno un po’ meglio. Da quando cioè, sull’orlo della disperazione, ho chiamato un amico pugliese che mi ha dato il numero dell’Arcigay di Napoli ed è scattata una mobilitazione che ci ha commossi, ci hanno trovato una sistemazione provvisoria e abbiamo parlato con un avvocato." Felice che le cose stiano andando meglio, questa è la prova che l'associazione Arcigay è importantissima in un paese ancora pieno di omofobia come l'Italia.
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