Il figlio 15enne di Selvaggia Lucarelli contesta civilmente Salvini e la Polizia interviene – la reazione della madre

06 Lug 2020 Fabiano Minacci • Tempo di lettura: 3 minuti

Leon Pappalardo, figlio di Selvaggia Lucarelli (e di Laerte Pappalardo, primogenito di Adriano), ieri pomeriggio è sceso in piazza - con la sua mascherina ben saldata sopra al naso - per contestare civilmente Matteo Salvini, arrivato all'esterno del centro commerciale Portello di Milano per incontrare i militanti al gazebo allestito dalla Lega per il tesseramento. Durante il classico momento dei selfie con i fan, Leon Pappalardo si è avvicinato a Matteo Salvini e in maniera provocatoria gli ha detto:
 "Volevo ringraziarla per il suo governo omofobo e razzista".
A questo punto i fan di Salvini lo hanno contestato e due poliziotti in borghese lo hanno fermato ed identificato, facendo arrabbiare Selvaggia Lucarelli che ha ripreso la scena con il proprio smartphone. Raggiunta da ANSA, Selvaggia Lucarelli ha commentato:
"Mio figlio ha detto la sua, non c'è nulla di lesivo della sua reputazione nel fare il suo nome, anzi... Certo sono stupita che un ragazzino di 15 anni che esprime la sua opinione in modo civile e pacifico, e nei limiti del confronto democratico, venga identificato da due poliziotti in borghese come un delinquente".
Poche ore dopo - sul portale TPI - Selvaggia Lucarelli ha scritto un lungo articolo commentando in maniera più dettagliata cosa successo.
"Ha detto [Leon, ndr] a Salvini che è razzista e omofobo, che usa gli immigrati per fare propaganda e lo ha detto senza aggredire o alzare la voce. Ho trovato squallide due cose: la prima è che Salvini abbia fatto il bulletto strafottente che fa finta di non ascoltare e gli abbia detto un “Ti voglio bene”, a cui Leon ha risposto “io no”. La seconda, più seria, riguarda i poliziotti in borghese che poi gli si sono avvicinati per identificarlo. Dicendo a me – a quel punto mi sono messa a riprendere la scena – che non potevo filmare per motivi ignoti (ho continuato a farlo). È stata una scena pietosa. Fermare un ragazzino di 15 anni per chiedergli i documenti dopo che civilmente aveva espresso le sue idee, costringendolo per giunta a dire nome e cognome in pubblico, visto che i documenti li aveva lasciati a casa, è un pessimo segnale. Il tutto mentre un tizio esagitato, adulto, alle sue spalle gli gridava “zecche!”.  
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