Ragazzo italiano sposa il compagno sudamericano, lo stato gli impedisce di vederlo in Italia

24 Mar 2015 Fabiano Minacci • Tempo di lettura: 9 minuti

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bacio gay
Ieri ho ricevuto la lettera di Donato, un ragazzo italiano che è costretto a vivere in Perù per stare insieme al marito che ha sposato in Argentina, visto che lo stato italiano non permette a Gustavo di vivere in Italia e puntualmente trova un motivo per negargli il visto. 
Questa lettera dovrebbero leggerla tutti quelli che sostengono che i gay non hanno bisogno di nuovi diritti, che hanno già tutti i diritti necessari per vivere una vita serena. L'amore non ha età, sesso o colore della pelle, questo però non sembra capirlo il nostro stato che sta facendo di tutto per ostacolare questa splendida storia d'amore (e molte altre).

Ciao Bitchy
Siamo due ragazzi, rispettivamente di 19 e 22 anni. Quando ci siamo conosciuti in chat, nel maggio del 2012, avevamo 16 e 19 anni. Per settimane, abbiamo passato ore e intere giornate a scriverci e a parlare al telefono. Dopo un po’ di tempo, capimmo di volerci conoscere di persona e di iniziare una relazione, ma purtroppo non poteva succedere dall’oggi al domani visto che non vivevamo nella stessa città, nemmeno nello stesso Paese. Decidemmo, ad ogni modo, che ci saremmo aspettati, che avremmo aspettato il giorno in cui ci fossimo conosciuti.

Dopo alcuni mesi di lavoro e risparmi, arrivammo a pianificare il viaggio di Gustavo a Roma, dopo avremmo passato alcune settimane insieme. Purtroppo, non avevamo idea che non sarebbe stato per niente facile.

Ho volontariamente omesso che Gustavo è di nazionalità peruviana, il che implica che il suo ingresso in Europa avvenga solo in seguito al rilascio di un visto d’entrata. Una volta preso coscienza di questo, cominciammo a preparare, con il supporto della mia famiglia, i requisiti che i Paesi del territorio Schengen richiedono affinché un cittadino peruviano possa entrare. Ma fu soltanto a giugno del 2013, quando, a causa delle nostre inesperienza e ingenuità, scoprimmo che l’ambasciata d’Italia è una delle poche in cui i tempi di attesa per richiedere un visto per turismo vanno da uno a tre mesi. Cosí, a giugno, fece richiesta per un appuntamento per richiedere un visto, ma a settembre dello stesso anno ancora tutto taceva; non c’erano novità da parte dell’agenzia a cui c’eravamo affidati di una possibile data.

Fu cosí che, visto che Gustavo aveva iniziato a studiare italiano da autodidatta, pensammo che avrebbe invece potuto richiedere un visto per motivi di studio e, quindi, approfittare della sua permanenza in Italia per unire l’utile e il dilettevole; avremmo passato del tempo insieme e lui avrebbe anche studiato. Ad ottobre del 2013, fece richiesta per un appuntamento per il suddetto visto e l’attesa, stavolta, fu relativamente poca (poco piú di un mese). A novembre, andò all’appuntamento, presentando tutte le carte e i requisiti. Tre giorni dopo, andò a ritirare il risultato: visto negato. Il richiedente non disponeva di mezzi di sussistenza sufficienti (nonostante mia madre avesse inviato una lettera d’invito, come richiesto dall’ambasciata, in cui si assumeva la responsabilità della permanenza di Gustavo in Italia e dei costi della stessa) e non si poteva dimostrare che il richiedente avrebbe lasciato l’Italia una volta scaduto il visto.

Decidemmo di riprovarci, e cosí, un mese dopo, ripresentò tutte le carte, questa volta aggiungendo anche una fidelussione bancaria fatta dai miei genitori, con la quale dimostravano di avere abbastanza denaro da sustentare le spese di viaggio di Gustavo, e un preventivo di una scuola privata di lingue, in cui si spiegava dettagliatamente in che cosa sarebbe consistito il corso d’italiano, in che data ci sarebbe stato l’esame etc.

Il visto fu un’altra volta negato; questa volta solo perché non si poteva dimostrare che il richiedente avrebbe lasciato l’Europa, nonostante le sue intenzioni fossero sempre state quelle di tornare in Perú, visto che viveva con la sua famiglia e avrebbe dovuto rendere conto a loro se non fosse ritornato.

Dopo queste due grandi delusioni, riuscii a convincere i miei genitori a permettermi di andare io in Perú per, finalmente, conoscerlo di persona. A dicembre, arrivai a Lima, dove passammo alcune bellissime settimane e decidemmo di continuare con questa relazione a distanza perché ne valeva la pena; ci saremmo poi rivisti ad aprile, quando io avessi riavuto le vacanze dalla scuola.

Ad aprile del 2014, passammo varie altre settimane insieme, ma a maggio ritornai in Italia perché si avvicinavano gli esami di maturità; prima della mia partenza, però, sempre piú convinto del nostro amore, gli chiesi di sposarmi, quando ce ne fosse stata la possibilità.

Nel frattempo, lui fece di nuovo richiesta all’ambasciata d’Italia perché gli dessere un appuntamento per sollicitare un visto. A giugno, presentò nuovamente tutte le carte, stavolta per un visto di turismo, nuovamente negato con la sola giustificazione che “non si poteva stabilire l’intenzione del richiedente di lasciare gli Stati membri”.

Io, ormai già diplomato, venni a conoscenza che il tribunale di Grosseto aveva riconosciuto il matrimonio tra un italiano e un cittadino straniero, permettendo a quest’ultimo di richiedere il permesso di soggiorno in Italia. Motivato anche da questo, decidemmo di sposarci in Argentina, Paese in cui anche due cittadini stranieri possono sposarsi.

Ci sposammo ad agosto del 2014 e io feci, a malincuore, ritorno in Italia, con l’intenzione di richiedere per lui il permesso di soggiorno. Mi dissero che il richiedente doveva essere già presente sul territorio italiano perché fosse possibile.

Per altri quattro interminabili mesi, restammo separati, risparmiando ogni centesimo che ci fosse possibile, visto che lui non abitava neanche a Lima (città in cui si trova l’ambasciata).

A dicembre, ci siamo messi nelle mani di un avvocato che ha già conoscenze in materia e che, prima di noi, è passato per una storia simile, visto che è sposato con un cittadino sudafricano. Il nostro avvocato si è messo, per noi, in contatto con l’ambasciata spiegando come anche a suo marito avessero concesso una carta di soggiorno per essere familiare di un cittadino europeo. Il responsabile dei visti dell’ambasciata, il signor Luca Lanciotti, disse che avrebbe chiesto istruzioni al Ministero degli Interni, vista “la novità giuridica in materia”. Il Ministero disse che Gustavo avrebbe dovuto chiedere un visto di turismo per l’ingresso in Italia (non di ricongiungimento familiare, come sarebbe stato in qualsiasi altro Paese, come Francia o Spagna) per fare poi richiesta alla questura della mia città di una carta di soggiorno.

Purtroppo, l’essere sposato con un europeo in Italia non ti dà nessun vantaggio e, quindi, l’attesa per fare la richiesta restava, per lui, dai 30 giorni ai 3 mesi. Chiedemmo al signor Lanciotti se fosse possibile anticipare tale appuntamento, visto che ci tenevamo davvero tanto a passare il Natale in Italia con la mia famiglia, aggiungendo, inoltre, che le mie condizioni di salute erano state preoccupanti negli ultimi mesi, avendo mostrato dei certificati medici in cui dimostravo di soffrire di attachi d’ansia e di panico, accompagnati da forti tachicardie, di depressione, e dando prova, in piú, dei medicinali che stavo prendendo per tenere a bada la situazione. Al signor Lanciotti, né a nessun altro in ambasciata, i suddetti non sembrarono motivi sufficienti per anticipare un appuntamento (anche se in precedenza era stato il sig. Lanciotti stesso a dirci che gli appuntamenti potevano essere anticipati solo per motivi di salute; ma probabilmente dimenticò di specificare che si riferiva al cancro o a qualche altra malattia in fase terminale).

Dovetti prendere la decisione di partire per il Perú per passare il Natale con mio marito e stare con lui fino al giorno dell’appuntamento a fine gennaio, lasciando, però, la mia famiglia, che si dimostrò comprensiva e disse che avrebbe aspettato con ansia il giorno in cui ci fossero andati a prendere entrambi all’aeroporto.

A gennaio, arrivò il giorno dell’appuntamento e andammo entrambi in ambasciata. Per la prima volta, Gustavo fu trattato da essere umano e non come un animale, come mi aveva sempre raccontato di essere stato trattato in ambasciata (e come ho potuto vedere con i miei occhi che trattano i “comuni peruviani” che non hanno nessun rapporto con l’Italia).

Presentate tutte le carte, restammo in attesa della data che ci diedero per andare a ritirare il risultato, ma ogni volta, per tre volte, ci dissero di ritornare la settimana successiva, visto che “si trattava di un caso particolare che stavano esaminando in Italia”.

Il 16/02/2015 andammo a ritirare il risultato: NUOVAMENTE NEGATIVO, in quanto “le intenzioni del richiedente non erano attendibili”, nonostante la stessa Cassazione dice che il coniuge straniero dello stesso sesso deve essere considerato come familiare del cittadino italiano, e come anche indicato a dicembre dal Ministero. Senza ulteriori spiegazioni, senza che il sig. Lanciotti ci guardasse per lo meno in faccia e ci spiegasse che cos’era successo, uscimmo dall’ambasciata con il mondo che ci era appena crollato addosso.

Siamo entrambi ancora a Lima, aspettando che il nostro avvocato in Italia faccia ricorso al TAR di Roma affinché riveda la decisione dell’ambasciata. Nel frattempo, il nostro avvocato ha comunque cercato di mettersi in contatto con il sig. Lanciotti, chiedendo spiegazioni sull’accaduto, ma quest’ultimo non si dimostra disponibile a spiegare quanto successo, dicendo che egli è tenuto a dare questo tipo di informazioni solo agli avvocati della difesa del TAR, per difendere l’ambasciata.

In tutto questo, siamo ancora alla deriva. In tutto questo, non so ancora quando arriverà il giorno in cui potrò avere al mio fianco TUTTA la mia famiglia. Non so quando arriverà il giorno in cui non sarò piú costretto a scegliere all’abbraccio di chi rinunciare ogni mattina; in cui non sarò piú costretto a dover vivere tra due continenti, a dover far soffrire una delle due parti della mia famiglia perché non posso stare in due Paesi allo stesso tempo.

Sono stanco di dover scegliere, sono stanco di dover rinunciare a un pezzo del mio cuore ogni volta che salgo su un aereo, soltanto perché il mio Paese non riconosce il mio matrimonio. Spero almeno che il TAR sia un ente giusto e riconosca a mio marito il diritto di vivere con me e la mia famiglia in Italia. Nel mentre, continuiamo ad aspettare; forse sarà questa la volta buona. O forse no. Forse presto rivedrò la mia famiglia. O forse per farlo dovrò continuare a rinunciare a mio marito. Forse. Chissà."
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