“Non la vedo da febbraio”, bambina portata via da scuola e chiusa in comunità | La lettera straziante che ribalta il caso: madre disperata
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La vicenda che arriva da Trieste è una delle storie più controverse e dolorose degli ultimi mesi, una vicenda che mette a nudo le fragilità della giustizia minorile e gli effetti devastanti di decisioni che, pur mosse da intenti protettivi, finiscono per frantumare legami familiari profondissimi. Da febbraio, una madre afferma di non poter più abbracciare la figlia di otto anni: la bambina è stata prelevata direttamente dalla classe l’11 febbraio 2025 e collocata in una comunità, dove ancora oggi vive lontana dalla propria famiglia. Le ragioni, come spesso accade nei casi più complessi, si intrecciano fra denunce, provvedimenti giudiziari e interpretazioni opposte delle stesse norme.
Secondo il racconto della donna, la distanza forzata è diventata un dolore quotidiano, mitigato soltanto da qualche videochiamata sporadica. L’ultima risale al 30 settembre, una mezz’ora vissuta come un dono e allo stesso tempo come una ferita. Nel frattempo, la madre denuncia di essere rimasta intrappolata in un percorso giudiziario che considera ingiusto, contraddittorio e incapace di ascoltare davvero la voce di sua figlia.
La denuncia per abusi, l’archiviazione e la decisione che ha cambiato il destino della bambina
All’origine dell’intera vicenda c’è una denuncia presentata dalla madre nei confronti dell’ex compagno, accusato di presunti atti sessuali sulla bambina. La donna racconta che la figlia le avrebbe confidato “qualcosa di terribile”, in un momento di forte turbamento emotivo in cui la piccola si sarebbe addirittura inginocchiata chiedendo scusa. Da quell’episodio è partita la denuncia, accompagnata dalla volontà dichiarata della madre di proteggere la minore a ogni costo.
L’indagine, però, si è conclusa con una archiviazione nel 2024. Il Gip ha motivato la decisione evidenziando che la bambina era “incapace di rendere testimonianza”, sottolineando la difficoltà estrema di affrontare procedimenti per violenza sessuale quando coinvolgono minori molto piccoli. Nel provvedimento viene definito un “autentico ginepraio”, e il giudice parla addirittura di “autentiche sciagure di Dio” a proposito di questi processi, che spesso si basano su elementi fragili e difficili da verificare.
La madre, però, non ha mai interpretato l’archiviazione come una smentita del racconto della figlia. Al contrario, sostiene che proprio la giovane età della bambina e la sua confusione emotiva abbiano reso impossibile ottenere una testimonianza chiara. A questo si aggiunge un passato complicato: la donna racconta che la figlia sarebbe nata dopo un rapporto non consensuale e che per anni non ha denunciato l’ex compagno per timore di non essere creduta e di perdere la bambina. Una paura che oggi, afferma, sembra essersi tragicamente realizzata.

Le accuse dei servizi sociali, la sentenza della Cassazione e la distanza che resiste solo nelle lettere
L’allontanamento della minore è stato disposto dai servizi sociali sulla base di due contestazioni principali: un presunto ricorso eccessivo a visite ginecologiche, ritenute inutili e destabilizzanti, e un atteggiamento della madre interpretato come screditante nei confronti del padre, tanto da ostacolare il rapporto padre-figlia. È su queste basi che è stato deciso di collocare la bambina in una comunità.
Eppure, a complicare ulteriormente il caso è arrivata una sentenza chiave. L’11 luglio 2024, la Corte di Cassazione ha annullato il decreto che prevedeva l’affidamento esclusivo al padre, stabilendo un principio cruciale: anche quando un genitore ostacola la bigenitorialità, le misure adottate devono evitare “un trauma, anche irreparabile, allo sviluppo del figlio”. I giudici definiscono “brusco allontanamento” ogni interruzione improvvisa dei legami con il genitore convivente, avvertendo che la “lacerazione delle consuetudini di vita” può causare danni profondi. Nonostante questo, l’allontanamento è comunque stato eseguito.
Oggi madre e figlia mantengono un contatto minimo. La bambina, due mesi fa, ha scritto una lettera che la madre conserva come un frammento di verità in mezzo al caos: “Mami sarai dentro il mio cuore per sempre. Saremo vicine anche quando siamo lontani. Uguale per la mia famiglia, però senza la parte di mio papà”. Parole che raccontano il legame indissolubile fra loro e allo stesso tempo la confusione che una bambina vive quando viene trascinata dentro una vicenda più grande di lei.
La storia di Trieste apre interrogativi profondi sul funzionamento degli interventi di tutela dei minori, sulla gestione delle accuse in ambito familiare e sulla difficoltà di bilanciare protezione, verità e stabilità emotiva. Nel frattempo, il tempo scorre e una madre continua ad attendere il giorno in cui potrà finalmente riabbracciare sua figlia, convinta che l’unica forma di giustizia possibile debba partire proprio da quell’abbraccio mancato.
